ROBERTO SIMONETTI. Signor Presidente, il tema all’ordine del giorno è il rapporto dell’Italia nei
confronti dell’Unione europea, in riferimento soprattutto a specifici interventi da porre in essere per
la risoluzione della crisi economica che ha travolto non solo l’Europa ma l’intero sistema economico
occidentale. Il tema è veramente importante quindi immaginavo una partecipazione parlamentare,
ma sicuramente una partecipazione governativa maggiore rispetto a quella attuale.
È chiaro che innanzitutto vanno definite le cause che hanno portato alla crisi: un sistema economico
basato essenzialmente sulla finanza creativa delle banche, sulla speculazione economica sui
derivati, sugli investimenti ad alto rischio piuttosto che su politiche economiche a favore
dell’imprenditoria, del manifatturiero e dell’impresa. Il crack Lehman Brothers ne è sia l’emblema
che l’inizio. L’Europa poi ha unito in sé, attraverso la moneta unica, sistemi economici
completamente differenti, con potenzialità economiche diverse. Nel caso specifico italiano abbiamo
un problema in più, perché l’economia nazionale racchiude in sé due diversi e sostanzialmente
differenti sistemi economici, l’uno più che europeo, quello padano, e l’altro difficilmente definibile,
quello del sud. Ciò ha portato ad una fragilità della moneta unica tanto che alcuni istituti bancari,
nelle loro opzioni di vendita dei titoli e delle azioni per la loro capitalizzazione, indicano anche il
rimborso di quella liquidità in una divisa diversa dall’euro.
Una fragilità eliminabile con la creazione di una piattaforma territoriale ed economica omogenea in
cui l’euro è la divisa ufficiale. Investimenti – dicevo – che hanno portato il sistema bancario a
riempire i propri forzieri di «titoli fantoccio» che hanno reso fragile le loro fondamenta.
Queste difficoltà ora, però, si riversano sulle famiglie e sulle imprese perché i fondi pubblici a loro
dedicati o le garanzie statali a loro dedicate non vengono adoperati per fornire maggior credito
all’imprenditoria ma vengono utilizzate per la capitalizzazione in funzione dei nuovi e più restrittivi
parametri di Basilea 3. Speriamo che tale ricapitalizzazione non avvenga attraverso liquidità
straniera, pena la «colonizzazione» della nostra economia. Si parla molto di autodeterminazione ma
le ultime iniziative economiche sono state dettate da fonti internazionali, non votate dai cittadini,
espressione talvolta di singole lobby economiche piuttosto che di reali volontà popolari.
Il tema quindi della sovranità nazionale è un tema forte, essenziale, e dovrà essere risolto in maniera
inequivoca. Lega Nord da sempre chiede che si passi attraverso referendum popolari ogni qual volta
si debbano cedere quote di sovranità nazionale a favore di questa entità europea molte volte eterea e
non concreta. Di più, il trattato intergovernativo che il Governo si appresta a sottoscrivere elude
quella poca sovranità popolare che è intrinseca al Parlamento europeo e alla Commissione europea.
Difatti si sottoscriverà un accordo senza consentire agli organi europei di poter affermare la propria
potestà, mettendo in serio dubbio la possibilità degli organi costituzionali europei – come per
esempio la Corte di giustizia – di intervenire in merito all’applicazione dello stesso.
Chi in quest’ultimo periodo ha mai sentito parlare di interventi del Presidente Barroso oppure del
Parlamento europeo? Nessuno ha sentito parlare di questi, perché abbiamo solo seguito ed inseguito
le volontà di due Presidenti (Merkel e Sarkozy) che in solitaria hanno deciso le sorti di 27 Paesi
europei. Ciò non è più sopportabile e conseguibile. Questa perdita di sovranità popolare e la perdita
dell’indipendenza monetaria vanno di pari passo. Il problema della moneta unica su base di
economie diverse sta implodendo. L’euro forte, l’euro applicato ad economie internazionali
profondamente diverse, rende non competitiva la nostra economia, soprattutto quella padana che si
vede costretta a subire la concorrenza straniera senza avere la possibilità di movimento e di
intrapresa. Dobbiamo far sì che le manovre anticrisi giustamente richieste dall’Unione europea non
si traducano semplicemente in maggiore tassazione per il raggiungimento del pareggio di bilancio.
Se è ovvio che il rapporto debito/PIL si può ridurre sia riducendo il debito, sia aumentando il PIL, è
altrettanto ovvio che creando recessione attraverso le vostre manovre economiche e non riducendo
il debito (perché nulla è stato impostato dal Governo Monti per la riduzione della spesa pubblica) il
sistema produttivo padano risentirà pesantemente di questa situazione economica.
La prima manovra Monti sta creando recessione. Lo vediamo su tutti i giornali, e tutte le
manifestazioni di questi giorni vanno in quella direzione. Aspettiamo la seconda fase, quella delle
liberalizzazioni che è un tema importante per la crescita del PIL, ma queste non possono ridursi ai
tassisti o alle libere professioni. Bisogna toccare i temi dell’energia, dei servizi pubblici, dei
trasporti, dei servizi bancari, di quelli autostradali, che sono i temi importanti che bisogna
affrontare, sui quali bisogna mettere il dito, andando a colpire i veri monopoli statali e non quelli
delle povere persone che continuano a dover subire i soprusi di questo Governo fatto di lobby e
(ovviamente) di conflitti di interesse.
Abbiamo idee nuove e importanti per la costruzione di un’Europa veramente dei popoli, veramente
inclusiva e competitiva, un’Europa costituita da territori con dimensione ottimale in base alle loro
aree produttive, arrivando al superamento delle logiche economiche degli Stati nazionali, per
giungere alla creazione delle euroregioni affinché i territori abbiano le possibilità di crescere
imprenditorialmente ed economicamente. Se moneta unica deve essere – Presidente – lo sia per
territori economicamente omogenei (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania