ROBERTO SIMONETTI. Grazie, Presidente. Questo è un testo che vuole intervenire sulla disciplina del lavoro autonomo. Il titolo in rubrica è molto importante, ma di fatto poi purtroppo nel testo non viene a concretizzarsi quanto previsto, appunto, dal titolo e in alcune parti si compie una vera confusione fra il lavoro autonomo dei professionisti iscritti in ordini e collegi e semplici professionisti iscritti alla gestione separata, i cosiddetti «autonomi della legge n. 4, e questo non va bene. Non va bene fare questa confusione perché è propedeutica a un messaggio che vuole concretizzare lo smantellamento degli ordini professionali per una sorta di liberalizzazione totale delle professioni. Quindi, io valuto questa confusione come voluta e ricercata e non un semplice errore, perché si vuole continuare a smantellare il ruolo degli ordini e dei collegi, togliendo loro ulteriori tasselli fino quasi a equiparare, come ho ricordato, le professioni non abilitate a quelle abilitate. È una visione che viene da lontano, una visione abbastanza americana, stile new economy di clintoniana memoria, quella della globalizzazione, quella dell’appiattimento e dell’abbassamento di qualsiasi tipo di regola e di tutela. Infatti, nel corso dell’ultimo decennio gli ordini hanno iniziato a vedersi abolita la possibilità di vidimare le fatture e, inoltre, non ci sono più i minimi tariffari. Si è poi completato, nel 2012, il lavoro di repressione con la necessità di stipulare un contratto fra le parti per provvedere all’esclusione, appunto, dell’utilizzo del tariffario professionale, cosa che voi con questo provvedimento non avete voluto minimamente riprendere in considerazione. Non l’avete voluta prendere minimamente in considerazione neanche negli ordini del giorno, dove il Governo non ha neanche avuto la capacità e la lungimiranza di metterci «un valutare la possibilità di».
Molto probabilmente si vuole continuare su questa strada, che è quella di deprezzare il lavoro autonomo e di non dare la vera tutela al lavoratore autonomo professionista, che è quella di garantirgli un reddito attraverso una parametrazione seria della propria professionalità. Secondo me, volete arrivare a una sindacalizzazione anche del lavoro professionale autonomo perché, se è vero come è vero, che volete smantellare gli ordini, tant’è che portate addirittura l’intermediazione professionale all’interno dei centri per l’impiego così come per il lavoro subordinato, in più create un tavolo di lavoro, probabilmente l’ennesimo e inutile tavolo di lavoro, per parlare di previdenza, di welfare e di lavoro autonomo, al quale deve partecipare, non come uditore ma come fattore protagonista, il sindacato. L’unica cosa che nel lavoro autonomo non c’entra assolutamente nulla è il sindacato e voi date a questo la possibilità di interagire con il Governo affinché vengano poste norme che dovranno poi subire (in termini di welfare, di previdenza, di contrattualistica, eccetera) i lavoratori autonomi. Quindi, questa è un’ingerenza che noi consideriamo veramente insopportabile e addirittura dannosa.
Allo stesso modo, c’è l’equiparazione fra abilitati e non abilitati per la partecipazione ai bandi pubblici, perché la dizione di cui all’articolo 11, in cui voi dite che i lavoratori autonomi possono partecipare ai bandi senza specificare che devono ovviamente avere i loro requisiti professionali adeguati, significa annacquare questa situazione di diversificazione a favore delle categorie non abilitate. L’equo compenso, come ricordato, non è stato previsto neanche negli ordini del giorno. Io capisco che il presidente Damiano ci dica che è nel suo cuore quello di avere una normazione nuova sull’equo compenso appunto, però non passano gli emendamenti. Io penso che al Senato ci sarebbe stato lo spazio per approvare un testo modificato anche in questo senso, Presidente Damiano, o almeno pensavo che il Governo mettesse la famosa formula «a valutare l’opportunità di» per arrivare nuovamente ad un equo compenso, che non significa arricchire i liberi professionisti ma significa, tra l’altro, dare delle garanzie a chi lavora per i liberi professionisti, perché, se il datore di lavoro libero professionista non riesce a ottenere la giusta paga dal proprio frutto professionale, è chiaro che non potrà pagare il dovuto ai propri collaboratori. Questo mi sembra un «trenino» talmente ovvio e, però, non è stato recepito da parte del Governo, sebbene ultimamente abbia addirittura ricevuto nuovamente la delega per la gioventù; ma mi sembra che il Governo lavori su metodi molto vecchi che con la gioventù non hanno assolutamente nulla a che vedere.
Inoltre, non vi è la tutela da parte dello Stato, che appunto vedo che manca, e ciò va a favorire nuovamente quella categoria molto vicina a chi è di sinistra, cioè le compagnie di assicurazione. Ultimamente chi è di sinistra, chi fa politica a sinistra, vede con favore le compagnie di assicurazione, le banche, le grandi imprese, e non certo i lavoratori, né subordinati né autonomi; tanto che quando voi andate a definire le nuove regole per la tutela delle transazioni commerciali, e quindi ad allargare quello che era già previsto nel decreto legislativo, andate ad allargare e a tutelare i rapporti commerciali del libero professionista nei confronti dell’amministrazione pubblica e delle imprese. Ma io credo che l’80 o il 90 per cento del reddito derivante al libero professionista arrivi dal committente privato. Se lo Stato non aiuta a poter garantire il mancato incasso nel rapporto fra lavoratore autonomo professionista e committente privato e delega questo, dando la possibilità di dedurre le spese di assicurazione che il libero professionista può fare per garantirsi da questo rischio, è chiaro che non si va ad aiutare il libero professionista e si aiutano esclusivamente le compagnie di assicurazione, le quali ora si faranno vive in tutti i settori professionali per far accendere delle polizze. Questo perché lo Stato non ci mette un euro, non ci mette nessuna garanzia, né politica né economica, e questo sarà per l’80 per cento delle prestazioni professionali che i liberi professionisti dovranno prevedere per mandare avanti i loro studi professionali.
Poi tutte le parti che danno maggiori tutele ai lavoratori passano non con un aiuto dello Stato, non con un aiuto pubblico, ma passano attraverso prelievi contributivi maggiorativi che gli stessi devono quindi poi andare a coprirsi.
Le uniche formule, quindi, che vanno un po’ a tutela del libero professionista sono quelle che, in caso di malattia o infortunio grave, danno la possibilità di prorogare di due anni il pagamento degli oneri previdenziali. È chiaro che però poi questi oneri previdenziali li dovrà pagare: ma se non ha avuto reddito perché era malato o non poteva appunto lavorare, non si sa bene dove possa trovarli, questi soldi, il libero professionista per pagarli successivamente; e durante il periodo di malattia non è stato però tolto l’obbligo di fornire i dati per gli studi di settore, o chiamateli come li avete chiamati modificando appunto con il decreto fiscale dello scorso mese gli indici di affidabilità: sono comunque soggetti ! Sono comunque soggetti a definire il loro reddito in base a determinati parametri, che lo Stato impone al libero professionista. Quindi da una parte dite di dare, ma sostanzialmente togliete, togliete, togliete tutela e togliete possibilità di sopravvivenza alle professioni autonome.
Poi c’è anche la parte legata alla sicurezza. Va bene che ci debba essere, negli studi professionali, la normativa, che deve essere seguita la normativa sulla salute e sicurezza; però, abbiamo presentato come Lega un ordine del giorno, vista anche la modifica che in Commissione il Governo e la maggioranza hanno voluto introdurre, sulla partita legata alla normativa da seguire. C’era scritto «come le abitazioni»: no, come le abitazioni era troppo poco, quindi bisogna aumentare la normativa, aumentare le prerogative, che saranno costi aggiuntivi per tutte le professioni.
Sul lavoro agile ho già parlato durante il dibattito: secondo noi è una nuova tipologia contrattuale, quella che voi andate a definire. Andate a definire una nuova tipologia contrattuale, la inserite già all’interno della contrattazione nazionale o aziendale, che dovrebbe essere una contrattazione di secondo livello; e con la normativa sulla sicurezza, in cui il datore di lavoro dovrà essere obbligato e responsabile di tutto quanto accade a casa del proprio lavoratore, non verrà incentivato questo che è uno smart working soprattutto da utilizzarsi dalla parte più debole del mercato, che sono le donne. Non potrà essere utilizzato dai datori di lavoro, con queste norme che voi andate ad inserire non vi sarà un incentivo ad utilizzarlo.
Pertanto, noi ci asterremo sul provvedimento, proprio perché il titolo di «statuto del lavoratore autonomo» non può essere accettato (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie-Lega dei Popoli-Noi con Salvini).