Dal 4 maggio parte la Fase2. Pensiamo all’immediato, agli aiuti economici per le partite iva, le imprese, le famiglie che hanno patito 58 giorni di lockdown senza poter incassare un euro dalle proprie attività. Ma soprattutto partiamo adesso a ricostruire il nostro paese che è completamente fuori mercato rispetto al mondo economico in cui la globalizzazione ci fa competere. Il vero problema non sarà infatti quanto PIL perderemo quest’anno, ma quanto nel futuro riusciremo a generare. Usiamo questo momento storico per sciogliere tutti i nodi che negli ultimi vent’anni ci hanno relegato agli ultimi posti di quasi tutte le classifiche economiche.
Dal 2006 al 2018 il nostro PIL è sceso di ben 6 punti percentuali mentre gli Stati europei più importanti conseguono un segno positivo: Germania +18,20, Regno Unito e Paesi Bassi +16,00 , Francia +12,40 e Spagna +9,50. La mancata crescita crea disoccupazione, minore competitività per le imprese, minore reddito pro-capite e minore capacità dello Stato e del mondo produttivo ad affrontare le sfide economiche e sociali che si pongono quotidianamente.
Perché poco PIL? Abbiamo il carico totale del fisco e dei contributi sulle imprese che nel 2019 ha raggiunto il valore del 59,1% dell’utile commerciale, secondo i termini del Total Tax and Contribution Rate, dato che misura il carico fiscale e contributivo per le imprese e non la sola pressione fiscale. Una cifra spaventosa che ci pone al 128° posto nella classifica mondiale.
Per non parlare della burocrazia: in Italia 160 mila norme contro le 5.500 della Germania. Risultato: costo al sistema produttivo nazionale pari a 57,2 miliardi di euro. Per la provincia di Biella ammonta a circa 157 milioni di euro/anno.
Opere pubbliche ed infrastrutture strategiche al palo. Ne patiamo anche noi le conseguenze per la mancata realizzazione del peduncolo autostradale e del ritardo per il collegamento ferroviario.
In campo energetico siamo dipendenti per più dell’ottanta per cento dal contributo estero al fabbisogno energetico interno, elevando così i costi di approvvigionamento e Il lento incremento delle infrastrutture delle telecomunicazioni, la cui essenzialità l’abbiamo provata in questo periodo di contatti a distanza mediati da scarse connettività Internet, hanno portato il paese ad avere una minore competitività rispetto ai suoi concorrenti europei e mondiali.
L’edilizia è ferma sia nel settore privato per l’enorme difficoltà ad ottenere i titoli abilitativi sia nel settore pubblico a causa della lentezza burocratica: i tempi di realizzazione medi delle infrastrutture sono di 3 anni per opere inferiori ai 100 mila euro e più di 15 anni per le grandi opere oltre 100 milioni di euro.
La scarsa efficienza della giustizia civile porta ad una durata dei processi ordinari in primo grado a più di 1000 giorni e ci colloca nella graduatoria al 157esimo posto su 183 paesi, producendo un costo sociale diretto, pari ad un punto di PIL, circa 18 miliardi di euro, ed indiretto visto che nessuna impresa straniera è invogliata a dedicare propri investimenti per insediare unità produttive in Italia.
Siamo in fondo alla classifica anche in spesa di Ricerca e Sviluppo. Non raggiungiamo nemmeno l’impegno minimo del Trattato di Lisbona pari all’1,53% del PIL: Italia circa 1,40 per cento, mentre Germania e Stati Uniti circa il 3, Francia il 2,25 e Regno Unito l’1,75.
Cosa fare quindi per disinnescare questo corto circuito economico?
Subito una pace fiscale, soprattutto per il 2020, ed un nuovo approccio fra Stato e cittadino, fra Stato ed impresa con una flat tax, progressiva mediante l’applicazione di una no tax area e deduzioni. Un patto chiaro, semplice, sostenibile dal mondo produttivo. E inversione dell’onere della prova nei processi tributari.
La giustizia deve essere riformata: stato di diritto, tempi certi per i processi, manager nei tribunali che garantiscano il rispetto dei tempi, separazione delle carriere, modifica dell’attuale responsabilità civile dei magistrati in modo da poter assicurare una normativa chiara e applicabile anche a tutela dell’ordine giudiziario.
Aiuti diretti alle imprese tramite un’emissione di titoli di Stato da utilizzarsi anche per attivare una serie di investimenti infrastrutturali nella logistica, nell’edilizia pubblica e sanitaria.
Lavori pubblici più veloci tramite un nuovo codice degli appalti rivisto in senso liberista, con l’affidamento diretto a soglie maggiori di quelle attuali. Minori vincoli anche per l’edilizia privata: una pace edilizia per rimettere in moto il settore che è il vero generatore di sviluppo complessivo dell’economia. Il “modello Genova” ne è l’esempio più nobile.
Il settore bancario deve tornare ad essere il vero partner di sviluppo e crescita del mondo produttivo, esser quindi più banca commerciale e meno banca d’affari. Soprattutto per le Piccole e Medie Imprese, leader mondiali in nicchie di produzione, benchè non capitalizzate, potranno nuovamente essere competitive sul mercato.
Non ultimo un nuovo patto fra cittadini e Istituzioni. Parola d’ordine sussidiarietà: nessuno si sostituisca al livello istituzionale più vicino alla risoluzione dei problemi. L’Europa difenda i suoi confini materialmente dall’immigrazione clandestina e immaterialmente dalla guerra commerciale che le nostre imprese subiscono dal dumping asiatico, e sia un loro partner serio con liquidità immediata a fondo perduto. Elimini in velocità tutti i vincoli che le normative restrittive dei trattati impongono. BCE con funzioni di prestatore di ultima istanza in primis.
Lo Stato sia molto snello, senza burocrazia, più fedele ai suoi cittadini e garantisca alle Regioni richiedenti il raggiungimento dell’Autonomia sancito dall’art.116 della Costituzione. Abbiamo visto quanto sia stata fondamentale l’azione dei Governatori in surroga alle palesi mancanze dello Stato in questa emergenza pandemica.
Queste alcune delle proposte necessarie per risollevare il nostro sistema paese nel suo complesso. La ristrutturazione dell’Italia non è più procrastinabile. Le sue carenze sono venute vistosamente a galla purtroppo proprio in un momento di estremo dolore e di lutto che ci ha segnato tutti in modo indelebile. Il non dare risposte oggi quindi non è solo una mancanza di rispetto ma una pesante responsabilità da condannare.
Roberto Simonetti