ROBERTO SIMONETTI. Signor Presidente, il provvedimento, alla sua terza lettura, per la
modifica costituzionale dell’articolo 81 della Costituzione, rappresenta la linea che l’Europa indica
agli Stati membri con i suoi nuovi provvedimenti, sia istituzionali sia extraistituzionali, al fine di
raggiungere il risanamento e la stabilizzazione della finanza pubblica.
La decisione di recepire nella Costituzione il vincolo di pareggio di bilancio vede la Lega Nord
favorevole, perché mette fine all’utilizzo diabolico del debito pubblico per finanziare
l’assistenzialismo, la burocrazia improduttiva, gli sprechi e le clientele diffuse, le cosiddette
politiche di deficit spending che hanno a lungo dominato la scena delle politiche economiche degli
Stati della democrazia occidentale.
È chiaro, però, che è importante vincolare le istituzioni a rispettare determinati parametri in
funzione del ciclo economico, ma è altrettanto serio prevedere dei differenti approcci fra chi
gestisce la res publica con atteggiamento virtuoso rispetto a coloro che non ottemperano al dettato
in oggetto. Questo per evitare che, come accade sovente, il pareggio nazionale venga ad essere
registrato attraverso una media aritmetica tra chi risparmia e chi spreca. Ben venga, quindi, quanto
inserito all’articolo 2, con il quale il pareggio di bilancio viene introdotto in Costituzione, facendo
riferimento all’equilibrio dei bilanci di tutte le pubbliche amministrazioni, ivi inclusi, quindi, gli enti
territoriali, dotati di autonomia di entrata e di spesa costituzionalmente garantita. Bene, quindi, le
sanzioni sull’incandidabilità introdotte per i presidenti di regione, i sindaci e i presidenti di
provincia, che abbiano cagionato dissesti finanziari ai rispettivi enti amministrati. Tale scelta è
frutto del federalismo fiscale a cui questo provvedimento, quindi, va a collegarsi.
Non ci piacciono, però, quelle corsie preferenziali che taluni chiedono ancora oggi di costruire nei
confronti di alcune realtà particolari istituzionali come, per esempio, il comune di Roma Capitale,
che pretende di definire, lei stessa, il proprio apporto al Patto di stabilità interno, facendo così
pagare la differenza, del suo minor gettito verso la finanza pubblica, alle restanti realtà comunali.
Rispetto al periodo storico della prima lettura, in Europa è emersa una novità, un nuovo elemento.
Nel corso, appunto, della riunione del Consiglio europeo straordinario del 1o marzo scorso è stato,
difatti, sottoscritto uno schema di Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance
dell’Unione economica e monetaria. Dunque, un nuovo Trattato è stato stipulato al di fuori del
quadro istituzionale dell’Unione europea e delle relative procedure (per questo, prima facevo
riferimento ad un’extraistituzionalità dei provvedimenti). Questo fatto, comunque, ha un significato
politico negativo. La Lega Nord da sempre chiede che ogni atto legislativo, che presuppone una
cessione di sovranità nazionale, venga ad essere sottoposto a referendum preventivo, al fine di non
privare i cittadini della propria libertà di costruirsi il loro futuro, soprattutto economico. Altre realtà
europee lo fanno mentre l’Italia non lo fa. La risposta del Governo e del Parlamento in merito la
conosciamo e anch’essa, purtroppo, è sempre negativa.
Il Trattato intergovernativo, conosciuto come fiscal compact, prevede una serie di regole finalizzate
a dare maggiore stabilità finanziaria all’Eurozona. Oltre alla golden rule, cioè l’obbligo
costituzionale del pareggio di bilancio, prevede il rafforzamento del coordinamento delle politiche
economiche e la promozione della governance economica dell’Eurozona, in modo da supportare gli
obiettivi della crescita sostenibile, dell’occupazione nonché della competitività e della coesione
sociale.
Oltre ai parametri del possibile disavanzo ed indebitamento, il Trattato prevede però che gli Stati
dovranno impegnarsi a ridurre di un ventesimo all’anno la parte di debito pubblico che eccede la
soglia del 60 per cento del PIL. Ciò significa, per l’Italia, 45 miliardi all’anno di rientro, un valore
enorme, quello che ci spetterà di richiamare, pari a più di una manovra finanziaria. Dico tutto
questo per dimostrare che, nel breve periodo, vi è il serio rischio di non raggiungere il pareggio di
bilancio nel 2014 e che il sistema – così come è costituito finora – non potrà più reggere. Senza una
seria revisione dei centri di prelievo e di costo e senza una spinta realmente federalista, il sistema
burocratico e centralista istituzionale attuale non avrà molte vie di uscita, a scapito della parte
produttiva del Paese e dei cittadini tutti.
Tra l’altro, sarebbe veramente interessante poter diversificare, almeno a livello documentaristico e
contabile, i due sistemi economici che sono presenti nel Paese: il Nord ed il Centro-sud, al fine di
certificare quanto tutti sanno, ma che pochi vogliono ammettere: l’Italia è costituita da due
economie – è un’economia duale – che formano, a parti invertite, il bilancio statale, chi in positivo e
chi in deficit.
Ciò dimostrerebbe anche che la spesa statale per il Nord, per esempio per l’anno 2009, prendendo i
dati della Ragioneria, è pari al 45 per cento della spesa aggregata contro una produzione di PIL del
54 per cento, per contro nel Centro la spesa è del 22 per cento e la produzione di PIL è pari al 22 per
cento – quindi vi è una sorta di pareggio di contribuzione di spesa pubblica e PIL-prodotto – e per il
Sud invece la spesa pubblica aggregata è del 32 per cento contro una produzione di PIL pari al 24
per cento. Questo significa che, chi più produce, meno riceve dallo Stato: non si tratta più di
coesione e ricerca di solidarietà, ma di una rapina verso il Nord.
Inoltre, la Lega Nord, da sempre, invoca il pareggio di bilancio andando a tagliare le spese
improduttive piuttosto che ad aumentare le entrate tramite nuove imposizioni: non è la linea del
Governo, né di questa nuova maggioranza PD-PdL che, con il decreto «paga Italia» non ha
abbassato le spese improduttive, ma ha aumentato le tasse, la tassazione diretta e indiretta, andando
a coprire i 102 miliardi del triennio attraverso il taglio delle pensioni, dei trasferimenti agli enti
locali, alle regioni, alle province ed ai comuni, l’aumento dell’IVA al 23 per cento alla fine di
quest’anno, l’IMU sulla prima casa e il 50 per cento dell’IMU sulle seconde case che va allo Stato
stesso, creando così certamente il pareggio, ma anche più recessione invece che sviluppo. Meno PIL
significa maggiori difficoltà per il raggiungimento del pareggio di bilancio a parità di spese, che
non sono state attaccate dai vari decreti PD-PdL a sostegno del Governo Monti. Anche il decreto
cosiddetto liberalizzazioni parla di tutto tranne che di sviluppo e di maggiore produttività.
Ecco quindi, che la Commissione europea conferma ciò che la Lega Nord dice da sempre e cioè che
vi è la recessione italiana nella prima metà del 2012 e prevede che l’economia possa registrare una
ripresa forse, eventualmente, nella seconda metà del 2012, a condizione però che lo spread di
rendimento con i Bund decennali tedeschi resti attorno ai 370 punti.
In Italia, a causa di un alto livello di incertezza, i consumi più cospicui e gli investimenti delle
aziende vengono rimandati ed esclusi dai loro programmi, con la conseguenza che le stime di
crescita rispetto alle precedenti del 2012 devono essere aggiornate in diminuzione. Questo non lo
dice Simonetti o la Lega Nord, ma lo si legge nel documento sulle previsioni economiche
pubblicato dalla Commissione dell’Unione europea. La stima, infatti, prevede un calo del PIL dello
0,7 per cento nel primo semestre del 2012 e dello 0,2 nel secondo semestre. Sono pertanto
confermate le nostre peggiori ipotesi. Stiamo parlando del pareggio di bilancio, quindi è «bene»
inserire questo principio per riuscire ad eliminare gli sprechi dello Stato e «male» sono le azioni di
crescita di questo Governo, che pensa più ad immaginare un pareggio attraverso una maggiore
tassazione, piuttosto che una riduzione delle spese (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord
Padania).