ROBERTO SIMONETTI. Signor Presidente, stiamo intervenendo sulla modifica dell’articolo 81
ma di fatto stiamo intervenendo sull’articolo 1 della Costituzione (c’è un otto di troppo). Quando si
dice che la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione,
a mio avviso i fatti portano a dire che la sovranità appartiene alla Commissione europea, che la
esercita nelle forme e nei limiti dei Trattati europei e delle lettere della BCE (Applausi dei deputati
del gruppo Lega Nord Padania) perché sostanzialmente qui oggi si stanno comportando in questo
senso. Questo viene anche raffigurato dalla totale assenza del Governo, se non del Governo tecnico,
dei Ministri tecnici, che tanto devono dare soluzione ai problemi dell’Italia, e sono state pronunciate
parole forti: una svolta di portata storica (il deputato Lo Presti); era ora, una portata epocale (il
dottor Cambursano, l’onorevole Cambursano). Qui siamo rappresentati dal senatore D’Andrea, che
ringraziamo, però ricordo, senatore, – questo avrà anche un suo significato – che proprio quando si
ricerca un gabinetto Merkel-Sarkozy- Monti – tecnici, poi di fatto c’è l’assenza totale dei Ministri
che rappresentano il provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Partiamo subito bene, partiamo subito con un disinteresse totale nei confronti dell’attività
parlamentare. Speriamo che il prossimo Presidente del Consiglio non venga a dirci che è pure un
Aula sorda e grigia perché altrimenti avremmo «fatto botto» (Applausi dei deputati del gruppo Lega
Nord Padania). Il periodo economico attuale sconta il profondo handicap del debito pubblico
nazionale che, come una pesantissima zavorra, blocca forzosamente lo sviluppo del prodotto interno
lordo, e ci pone in una situazione di stallo in cui i mercati prevalgono sulla politica. I mercati
dettano l’agenda parlamentare, i tecnici superano la democrazia elettiva, e l’espressione -abbiamo
detto già prima – di questo Governo, ne è la plastica raffigurazione, soprattutto dopo la nomina dei
sottosegretari, anche essi pieni di conflitti di interesse.
Il tema dell’equilibrio di bilancio è stato molto approfondito dalla dottrina economica e
costituzionale. In estrema sintesi si può dire che la dottrina prevalente considera che tale principio
facesse parte della costituzione materiale degli Stati liberali, compresa l’Italia, e si sostanziasse non
solo nella corrispondenza di entrate e di uscite nella contabilità formale dello Stato, ma anche nella
necessità che le spese fossero integralmente coperte dalle entrate tributarie. Deroghe a questo
principio potevano essere ammesse solo in casi eccezionali, come tipicamente gli eventi bellici, nei
quali si poteva ricorrere all’indebitamento e all’emissione di nuova moneta. L’eccezionalità di queste
ipotesi richiedeva un rapido rientro del debito contratto, al fine di non compromettere, tra l’altro, la
stabilità del valore del cambio della moneta.
L’avvento dell’economia sociale di mercato e l’approccio interventista dello Stato in economia ha
messo in crisi, però, sin dal primo dopoguerra, questo dogma del pareggio di bilancio che fu
raggiunto in tempi lontani, per esempio, nel 1897, dal biellese Quintino Sella. Lo ricordo perché
sono presidente della provincia di Biella. Sicché, nella maggior parte degli Stati che si ispirano a
tale modello, è divenuto normale il fenomeno del deficit di bilancio. Prima ho sentito persone
affermare che, chi più chi meno, tutti hanno partecipato alla creazione del debito pubblico. Sì, chi
più chi meno, tranne la Lega Nord Padania che non ha mai partecipato alla creazione del debito
pubblico (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Le politiche di deficit spending, che hanno a lungo dominato la scena delle politiche economiche
degli Stati di democrazia occidentale, seppure in forme e misure differenziate nel corso della
seconda metà del Novecento, sono state oggetto di riflessioni critiche a fronte dei gravi effetti
inflazionistici prodotti. A partire dagli anni Ottanta le Banche centrali hanno cominciato a rifiutare
di finanziare i deficit dei bilanci statali attraverso l’acquisto dei titoli del debito rimasti invenduti sul
mercato. In Italia, proprio negli anni Ottanta, si consumava il cosiddetto divorzio tra la Banca
d’Italia e il Tesoro. In questo quadro, si inseriscono i vincoli ai disavanzi eccessivi posti dal Trattato
di Maastricht del 1992 che determinano, anche nel dibattito economico costituzionale italiano,
l’affermarsi del tema delle possibili modifiche costituzionali necessarie a limitare il finanziamento
delle spese in deficit.
L’articolo 81 della Costituzione, infatti, nella sua attuale formulazione, al di là delle intenzioni
nobili dei costituenti, non ha costituito, purtroppo, un argine alla creazione di disavanzi, soprattutto
per l’interpretazione che ne è stata data dagli attori politici e dalla stessa giurisprudenza. La stessa
creazione nel 1978 della legge finanziaria e la prassi di non approvare preliminarmente la misura
massima del ricorso all’indebitamento, consentì il crearsi di significativi deficit di bilancio. Nella
prassi e nella dottrina prevalente si riteneva che l’articolo 81 non ponesse limiti alla creazione di
disavanzi quanto piuttosto si preoccupasse esclusivamente che la legislazione di spesa
estemporanea adottata dal Parlamento non alterasse gli equilibri assunti nella decisione di bilancio.
Si consolidò, inoltre, con l’avallo della giurisprudenza costituzionale, la legittimità di coperture
realizzate attraverso ricorso a prestiti. La dissennata politica di spesa perseguita nel corso del
ventennio 1970-1990 ha così portato il rapporto debito pubblico-PIL dal 38 per cento del 1970 al
100 per cento del 1990, fino ad arrivare ai livelli attuali ancora più elevati. L’interpretazione
affermatasi dell’articolo 81 della Costituzione fu avversata in dottrina principalmente dal gruppo di
Milano (ricordo che fu coordinato da Gianfranco Miglio) che elaborò un’articolata proposta che, se
fosse stata accolta allora, avrebbe introdotto nella Costituzione dei limiti alla creazione di deficit
eccessivi e forme di controllo più efficaci sulle leggi di spesa da parte della Corte costituzionale.
Venendo ai tentativi di riforma più recenti della Costituzione, si può ricordare che il testo elaborato
dalla Bicamerale D’Alema nel 1997 prevedeva una riformulazione dell’articolo 81 in forza della
quale lo Stato avrebbe potuto ancora una volta indebitarsi per sopperire alle spese di investimento,
la cosiddetta golden rule. Le proposte di riforma della Costituzione non giunte ad effetto nelle
ultime due legislature non hanno direttamente investito le disposizioni costituzionali oggetto della
presente proposta.
Per quanto concerne le pregresse posizioni della Lega Nord Padania, non può non ricordarsi che, fin
dal suo apparire, il movimento ha fatto del contrasto alla spesa pubblica, il cui responsabile è lo
Stato centrale, uno dei propri motivi di vita e di battaglia. La fondamentale riforma federalista
rappresenta, infatti, tra le altre cose, una risposta efficace alla responsabilizzazione dei diversi
soggetti titolari di potere di spesa all’interno dell’ordinamento, avvicinando il livello di spesa a
quello di presa fiscale, con la finalità di assicurare un uso oculato delle risorse pubbliche. Si deve,
altresì, ricordare che la Lega Nord Padania, in più occasioni, ha sottolineato, anche attraverso
emendamenti, ad esempio in occasione dell’approvazione della riforma del Titolo V della
Costituzione, la necessità di porre limiti costituzionali anche alla pressione fiscale, nonché di
esplicitare che l’imposizione fiscale a livello decentrato non debba essere aggiuntiva, ma sostitutiva
a quella statale, evitando così il fenomeno della doppia imposizione.
Per venire alle misure approvate dalla Lega Nord Padania e incidenti sul contenimento dei
disavanzi, si possono benissimo ricordare innanzitutto l’imposizione dei piani di rientro del
disavanzo sanitario per le regioni in deficit, principalmente collocate, ovviamente, al centro-sud,
con la possibilità di commissariamento, in caso di mancata adozione del piano di rientro, di
applicazione di aumenti dell’IRAP e dell’addizionale IRPEF. I decreti legislativi che hanno dato
attuazione alla delega sul federalismo fiscale contengono, altresì, molte misure di contenimento dei
disavanzi.
Si pensi soltanto al passaggio dalla spesa storica ai costi standard per finanziare la spesa sanitaria o
la sanzione dell’incandidabilità introdotta per i presidenti di regione, sindaci, presidenti di provincia
che abbiano cagionato dissesti finanziari ai rispettivi enti amministrati. Più che le regole che
introduciamo oggi all’articolo 81 ritengo che la certificazione del fallimento politico servirà molto
di più per evitare i buchi di bilancio. Se non ci sono sanzioni, ritengo che il menefreghismo totale
della classe politica, che si è dimostrato ancora oggi con l’assenza dei cosiddetti tecnici al tavolo del
Governo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania), ne sarà la lampante dimostrazione.
Infine la Lega Nord ha dato pieno appoggio alle manovre finanziarie correttive succedutesi dalla
scorsa primavera per effetto delle quali si raggiungerà il pareggio del bilancio nel 2013. Nel testo
abbiamo voluto garantire da soli che comunque anche nelle fasi avverse del ciclo economico o al
verificarsi di eventi eccezionali lo Stato continui a garantire e ad assicurare il finanziamento dei
livelli essenziali e delle funzioni fondamentali degli enti locali al fine di non vedere penalizzata la
riforma del federalismo fiscale che questa legislatura, grazie alla Lega Nord, è riuscita a
concretizzare. Purtroppo l’esito del voto è stato negativo, ma almeno si è certificato qual è l’unica e
sola forza politica che garantisce gli interessi del territorio e degli enti locali che è la Lega Nord
(Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania – Congratulazioni).