Ma l’introduzione per legge del salario minimo orario serve davvero?
Per la verità senza necessarie correlazioni direi di no. Anzi.
Infatti la questione salariale non può risolversi con un semplice aumento del salario orario, tra l’altro tutto da verificarsi nella sua applicazione completa, ma passa soprattutto attraverso la riduzione del carico fiscale alle imprese.
Nel nostro paese, in controtendenza rispetto a quelli europei, il sistema della contrattazione collettiva nazionale funziona e copre la totalità dei lavoratori subordinati, così come quelli a termine e in somministrazione. Ed i CCNL, disciplinando gli aspetti retributivi e le regole fondamentali da applicarsi ai singoli rapporti di lavoro con efficacia erga omnes, prevedono non solo una paga oraria minima ma un trattamento economico complessivo composto da diverse voci retributive come per esempio le ferie, il welfare aziendale, la 13/14esima, i premi, le tutele per malattia aggiuntive. Tutte tutele normative esistenti che portano ad ottenere una retribuzione oraria complessiva al di sopra dei minimi tabellari.
E il 15% dei lavoratori non coperti da questi accordi sono quelli che purtroppo trovano sbocco solo nelle false cooperative o che sono vittime di una proliferazione contrattuale al ribasso, per niente rappresentative ed utilizzati da singole aziende con il solo scopo di effettuare un damping salariale.
Ecco che intervenire esclusivamente sull’importo orario, introducendo un salario minimo legale, senza una primaria riduzione della pressione fiscale e burocratica alle imprese, indurrebbe l’imprenditore ad eludere e disapplicare i Contratti Nazionali, togliendo così al lavoratore le parti di retribuzione indiretta come sopra descritta. Si otterrebbe quindi l’esatto contrario della finalità iniziale tutta a danno dei lavoratori: maggiore paga oraria si ma nel complesso minore salario percepito.
Per diminuire drasticamente i cosiddetti working poors, cioè i lavoratori che pur occupati con regolare impiego non riescono a superare la soglia di povertà relativa, è doveroso intraprendere una forte riduzione della pressione fiscale alle imprese e alle famiglie, intervenire con più efficaci forme di contrasto alla competizione salariale al ribasso ed introdurre una riforma della vigente disciplina del funzionamento delle cooperative, al fine di rimediare alle distorsioni di mercato ed alla concorrenza sleale operata dalle cosiddette «cooperative spurie».
La sola proposta di salario minimo orario quindi può essere un buon slogan elettorale ma nella pratica un boomerang a danno del sistema dei diritti dei lavoratori.
Roberto Simonetti