Il testo unificato proposto dal Governo dovrebbe basarsi su quanto disposto dalla sentenza della Corte Costituzionale in riferimento alla legge elettorale precedente. La Consulta infatti ha evidenziato che nella legge elettorale vigente si rileva una forbice troppo larga tra rappresentatività e stabilità; si è in altre termini sottolineato il fatto che, per assicurare l’obiettivo della stabilità di Governo, le norme censurate determinano una compressione della funzione rappresentativa dell’Assemblea nonché dell’eguale diritto di voto. In particolare, la Consulta ha chiaramente sottolineato che le ragioni della governabilità non devono prevalere su quella della rappresentatività. Con le nuove disposizioni introdotte dal testo unificato, il c.d. ITALICUM, il meccanismo viene ridisegnato secondo un sistema che prevede l’assegnazione di un premio di maggioranza e un eventuale secondo turno di votazione: sono attribuiti 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40 per cento dei voti validi o, in mancanza, quella che prevale in un turno di ballottaggio tra le due con il maggior numero di voti, esclusa ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento tra i due turni di votazione. Qualora nessuna lista raggiunga il 40 per cento di voti validi al primo turno, una volta ridotta la contesa elettorale al ballottaggio alle due liste più competitive, il sistema consente l’attribuzione a quella più suffragata del premio di 340 seggi, indipendentemente dal numero di voti conseguiti e dalla percentuale degli effettivi elettori. In assenza di una soglia minima e di un quorum di partecipazione, il premio di maggioranza diviene pertanto potenzialmente illimitato, tale da lievitare a percentuali che, stando ai risultati delle elezioni politiche del 2013, potrebbero arrivare persino al 25-30 per cento. Il tutto, riprendendo i rilievi della Consulta, con una compressione della rappresentatività dell’Assemblea parlamentare e con una violazione del principio di eguaglianza che esige che ciascun voto contribuisca potenzialmente con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi. Il blocco posto alla presentazione di coalizioni in grado di concorrere all’assegnazione del premio di maggioranza e l’attribuzione dello stesso alla lista vincente al turno di ballottaggio (a cui partecipano solo due liste) rischia di risolversi in un intervento che danneggia ulteriormente la rappresentatività del voto, escludendo dal ballottaggio quanto meno il terzo polo, soffocato altresì dalla concorrenza delle opposizioni minori che, tra l’altro, potrebbero essere diverse, data la soglia di sbarramento ferma al 3 per cento. Il premio alla lista poi potrebbe determinare il rischio della formazione di coalizioni surrettizie travestite da liste, nate con l’intento di raggiungere il premio di maggioranza per poi dissolversi alla prima utile occasione ovviamente sempre a danno della governabilità. Tutte queste valutazioni si sommano ad un altro aspetto fortemente critico che non può essere sottovalutato ovvero quello della sommatoria tra riforma costituzionale e riforma elettorale: da una parte il nuovo sistema elettorale concede il premio e, quindi, la maggioranza assoluta ad una sola lista e, dall’altra, la riforma costituzionale prevede che la Camera con i suoi 630 deputati possa senza difficoltà decidere a maggioranza in merito a tutte o quasi le cariche istituzionali, un sistema complessivo che risulterebbe privo di bilanciamento. I conseguenti squilibri tra poteri e contropoteri, risultano aggravati in caso di attribuzione del premio ad una lista, invece che a una coalizione: in tal caso, infatti, una sola forza politica è messa in condizione non soltanto di esprimere autonomamente la maggioranza di Governo ma anche di scegliere o determinare la composizione di quegli organi di garanzia che in un sano sistema democratico e pluralista dovrebbero esserne controllori e contrappesi. Tutti vogliono che la sera delle elezioni si sappia chi guiderà il Governo. Il punto è che ad oggi una legge del genere non crea le condizioni per una leadership politica di chi vince ma per un vero e proprio comando totale della lista che prende più voti. Sempre a proposito di combinato disposto, ulteriore elemento critico è quello che riguarda l’entrata in vigore delle due riforme: se la riforma costituzionale attualmente in discussione in terza lettura presso il Senato non entrasse in vigore prima del disegno di legge in esame ovvero prima del 1o luglio 2016 si verificherebbe un effetto distorsivo, con sistemi elettorali troppo diversi tra Camera, che verrebbe eletta con l’Italicum, e Senato eletto con il Consultellum. La proposta di legge di modifica del sistema elettorale in esame riguarda infatti l’elezione della sola Camera dei deputati, dando per scontato il superamento del bicameralismo paritario che, come previsto all’interno del disegno di legge costituzionale attualmente in discussione, prevede un Senato della Repubblica non elettivo. Ma l’esito e i tempi di approvazione della riforma costituzionale appaiono assai incerti. Logica vorrebbe che una riforma elettorale, studiata come conseguenza di una riforma delle nostre istituzioni in senso monocamerale, possa essere applicata solo dopo l’entrata in vigore delle nuove norme costituzionali. Per comprendere che questa sia una condizione sine qua non bisogna essere dei costituzionalisti, basta ricorrere al buonsenso. Eppure questa condizione ovvia non è stata recepita dal Governo che ha addirittura posto la fiducia sul testo. Non è certo con la legge elettorale che si fa crescere l’economia. E’ però possibile creare delle condizioni politiche pericolose per la democrazia, in cui un solo partito decide le sorti del Governo, elegge il Presidente delle Camere, il Presidente della Repubblica, i membri del Consiglio Superiore della Magistratura, della Corte Costituzionale, di tutte le Autority, determina tutte le nomine nelle aziende pubbliche di Stato strategiche (ENI, Poste, Cassa Depositi e Prestiti, et, etc., cancella, con la clausola di supremazia disposta dalla riforma costituzionale , le leggi regionali che non gli aggradano. Diciamo che in altre epoche questo sistema di governo si definiva DITTATURA.